Maria Velleda Farnè (1852-1905): una biografia, un podcast e un ritratto in marmo
Il 18 luglio 1878 Maria Velleda Farnè si laurea in Medicina e chirurgia: è la prima donna ad addottorarsi all’Università di Torino, la seconda nel Regno d’Italia.
A 170 anni dalla nascita e oltre cento anni dopo la morte, una biografia ne ha finalmente ricostruito approfonditamente la storia:
Paola Novaria, Maria Velleda Farnè (1852-1905). Ritratto in chiaroscuro di una pioniera, «Annali di Storia delle università italiane», 1/2022, pp. 177-203.
L’Università di Torino le dedica il podcast "Per quanto m'industri a farmi tutto da me". Maria Velleda Farnè, ritratto in chiaroscuro e la omaggia in Rettorato con una lapide che reca in altorilievo il suo volto, il primo femminile dall'apertura del Palazzo nel 1720. L’opera in marmo bianco è stata eseguita a Carrara dal maestro artigiano Michele Monfroni (novembre 2022).
Il 23 aprile 2024 è andato in scena Le Villi e Velleda, audiodramma in quattro atti e cinque movimenti, organizzato da UniVerso, in collaborazione con De Sono - Associazione per la Musica.
Nacque a Bologna il 21 febbraio 1852, figlia secondogenita di Enrico Farnè, avvocato, polemista politico e letterato dilettante, e Adele Gommi, di illustri ascendenze imolesi. Scampò bambina al colera, che nel 1855 causò a Bologna oltre 4.000 morti in pochi mesi. Sia Enrico Farnè come militante e anche governatore di Brisighella nel breve periodo della Repubblica Romana, sia il cognato Enrico Gommi come combattente in tutte le guerre risorgimentali dal 1848 al 1866, furono attivi nel processo di unificazione nazionale dalla parte democratica e repubblicana. La famiglia Farnè emigrò in Piemonte nel 1864 ed Enrico svolse fino alla pensione la professione di pretore.
Maria Velleda ricevette un’istruzione superiore in casa e per questo conseguì non senza fatica il diploma di licenza liceale presso il Liceo Cavour di Torino nell’estate del 1873. Il 4 dicembre del medesimo anno poté iscriversi alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Torino e fu ammessa al secondo anno, avendo già seguito le lezioni nei due anni accademici precedenti (1871-72 e 1872-73). Superò tutti gli esami senza mai essere respinta ed ebbe tra i suoi insegnanti Jacob Moleschott, Michele Lessona, Giulio Bizzozero, Angelo Mosso, Cesare Lombroso, campioni di quella cultura positivista imperniata sul metodo sperimentale che aveva trovato a Torino una delle capitali. Dopo aver superato l’esame di laurea articolato in tre parti consistenti in una prova sul cadavere e in due prove cliniche, conseguì il titolo dottorale il 18 luglio 1878, ottenendo il punteggio finale di 38/63. La sua laurea suscitò immediato clamore nella stampa dell’epoca, in Italia e all’estero.
Intraprese probabilmente l’esercizio privato della professione a Torino, ma due fatti ne segnarono l’esistenza. Il primo, luttuoso, fu la morte del padre Enrico il 14 agosto 1879, all’indomani del suo pensionamento; il secondo, di segno opposto, la sua «iscrizione a titolo onorario fra il personale sanitario della Real Casa», in ossequio «alle intenzioni manifestate da S.M. la Regina» Margherita nell’estate del 1881.
La notizia deflagrò solo cinque anni dopo, quando Maria Velleda si era ormai trasferita nella capitale. Con molta enfasi ne scrisse Matilde Serao sul «Corriere di Roma» nel gennaio del 1886, pubblicando anche un prezioso ritratto, il solo che con sicurezza ci restituisca oggi il volto della dottoressa, permettendo di riconoscerla anche nella giovane fotografata, unica donna tra nove uomini, all'Istituto anatomico dell’Università di Torino qualche anno prima. Sull’onda dell’entusiasmo Serao commise tuttavia un errore, parlando di una nomina da parte della regina a “medico ordinario”, vale a dire in ruolo, stipendiata, anziché “onorario”. Errore ripreso e propagato da tante altre fonti giornalistiche coeve e da numerosi profili recenti che a esse hanno attinto.
Tramite tra Farnè e Serao fu quasi sicuramente Fanny Salazar, giornalista, insegnante, scrittrice, animatrice di circoli culturali nella capitale, attiva nella causa dell’emancipazione femminile attraverso l’istruzione. Nel volume autobiografico di memorie uscito nel 1891, Salazar menziona a più riprese la dottoressa Farnè come propria amica e collaboratrice della rivista «Rassegna degli interessi femminili», che pubblica due interventi a firma di Maria Velleda Farnè. Il primo esce nel gennaio del 1887, si intitola L’estetica nell’igiene e svolge la tesi del danno arrecato alla qualità della vita, alla salute e alla bellezza delle donne dall’abitudine alla costrizione dei loro corpi. Il secondo contributo, Un inno all’acqua, esce nel marzo del medesimo 1887 raccomanda di praticare l’igiene lavando quotidianamente tutto il corpo e riconosce un modello nel mondo classico, rimpiangendo «le terme dell’antica Roma» e definendo se stessa eclettica: «piglio il bello, il buono e l’utile dove lo trovo».
Farnè ebbe senz’altro altri incarichi di lavoro, quale quello di espletare le visite mediche alle donne impiegate al telegrafo dipendenti dalla Direzione compartimentale di Roma (gennaio 1886). Il suo nome si lega nel 1889 anche all’Istituto di collocamento per le giovani disoccupate, un'importante opera filantropica di ispirazione civile e laica, che garantiva al suo interno la libertà di culto.
Dalla fine degli anni Novanta le fonti documentano una situazione di crescente difficoltà per la dottoressa, dovute innanzitutto alla necessità di provvedere alle necessità della madre anziana e soprattutto di sostenere il consolidamento della posizione lavorativa del fratello Alfredo Vittorio, che a quarant’anni intraprese la professione di insegnante di inglese, conseguendo la nomina in ruolo a Sassari. Senonché, non godendo a propria volta di un reddito stabile, ne ebbe uno sbilancio che non si riequilibrò.
Risultando ancora residente nella capitale, Maria Velleda trovò la morte il 9 novembre del 1905 a Rivalba, un borgo collinare non distante da Torino, in una dimora signorile denominata Villa Tarino, del tutto isolata a cinque chilometri dall’abitato. Il giorno seguente ne denunciarono in municipio il decesso il più giovane dei nipoti e il medico condotto. Il giorno 11 fu sepolta nel locale cimitero, ma della sua sepoltura non resta oggi alcuna traccia.